molle(skine): diario morbido

La “parola contraria”

Erri De LucaLa prima, e più importante, cosa da esprimere è la felicità per una sentenza – quella che ha mandato assolto Erri De Luca “perché il fatto non sussiste” – che certifica l’importanza e il valore della ragionevolezza applicate alla giurisprudenza.
Sono tuttavia importanti e degne di grande attenzione le parole che lo scrittore ha voluto pronunciare nell’aula del Tribunale, prima della sentenza. Sono importanti e degne di attenzione perché affrontano – con il suo stile pulito e limpido – il tema della “parola contraria”.
De Luca ha aperto così la sua dichiarazione: “Sarei presente in quest’aula anche se non fossi io lo scrittore incriminato per istigazione. Aldilà del mio trascurabile caso personale, considero l’imputazione contestata un esperimento, il tentativo di mettere a tacere le parole contrarie”. 111225566-931ccf8a-5b97-45f8-b1bd-e50610a84c2a
Ma il suo non è un caso trascurabile. Non lo è per il tema affrontato e per le figure coinvolte. Non lo è per il contesto e non lo è nemmeno per il semplice fatto che lo stesso De Luca, in precedenza, ha avuto modo di rilevare come il pavido mainstream culturale italiano non si sia schierato compatto a sua difesa. Segno che loscrittore non ha affatto considerato il caso “trascurabile”, fin dall’inizio.
È la “parola contraria”, tuttavia, la sua affermazione, la sua difesa, a costituire il cuore linguistico della faccenda. De Luca ha proseguito il suo intervento in Tribunale parlando dell’articolo del Codice Penale del 1930 per il quale è stato sottoposto a processo, dell’Articolo 21 della Costituzione, che tutela la libertà di espressione, e della Corte Costituzionale, che a suo dire non è un “luogo pubblico”, come lo sono invece “i tribunali, un commissariato, un’aula scolastica, una prigione, un ospedale, un posto di lavoro, le frontiere attraversate dai richiedenti asilo. Ciò che è costituzionale si misura al pianoterra della società […]. Sono incriminato per avere usato il verbo sabotare. Lo considero nobile e democratico. Nobile perché pronunciato e praticato da valorose figure come Gandhi e Mandela, con enormi risultati politici. Democratico perché appartiene fin dall’origine al movimento operaio e alle sue lotte […]. Concludo confermando la mia convinzione che la linea di sedicente alta velocità in Val di Susa va ostacolata, impedita, intralciata, dunque sabotata per la legittima difesa della salute, del suolo, dell’aria, dell’acqua di una comunità minacciata. 
La mia parola contraria sussiste e aspetto di sapere se costituisce reato”.
Mi hanno colpito molto queste dichiarazioni. Mi hanno colpito perché Erri De Luca cita giustamente Gandhi e Mandela, ma non don Lorenzo Milani e la sua celebre “Lettera ai giudici” – quella conosciuta per “l’obbedienza non è più una virtù” – che invece mi sembra molto più attinente al caso specifico. In realtà, il percorso di De Luca, in questa vicenda, è esattamente all’opposto di quello di Don Lorenzo, il quale raggiunse lo scopo, tra le altre cose, di personalizzare un dato di fatto oggettivo (in quel momento c’erano “oggettivamente” persone in galera, che stavano pagando la loro obiezione di coscienza al servizio militare), trovandone forza e cardini nell’esperienza collettiva della scuola di Barbiana. La parola contraria di De Luca si spinge invece a voler oggettivare una sua convinzione personale: “La mia convinzione che la linea di sedicente alta velocità in Val di Susa va ostacolata, impedita, intralciata, dunque sabotata per la legittima difesa della salute, del suolo, dell’aria, dell’acqua di una comunità minacciata”. Sono frasi d’impatto, di forte significato anche emotivo, ma smentite – o quanto meno fortemente messe in discussione – da altre opinioni e soprattutto dal voto popolare di quella zona, che alle elezioni non ha punito i partiti che si sono espressi a favore della TAV, come ci si sarebbe invece aspettato.
La parola di De Luca è dunque “contraria”. Ma contraria a che cosa? Alla maggioranza? Ma quale maggioranza? Ad un indefinito Potere (che implicitamente lo scrittore accusa di volere la TAV per minacciare aria, acqua, suolo e dunque la vita stessa di una comunità)? Contraria a chi, esattamente? Al governo? Ai politici? Agli affaristi? Non lo sappiamo. De Luca esprime una contrarietà, ma non ci dice a chi è rivolta, se non genericamente al progetto TAV.
Ma non si va a processo per essere contrari a un’opera pubblica, per quanto contestata e contestabile essa sia.
Proviamo a dirlo noi, allora, a che cosa è contraria la sua parola.
La parola di De Luca è contraria alla Legge. Perché in uno Stato di Diritto, qual è il nostro (o dovrebbe essere) è la Legge che stabilisce, attraverso varie forme e modalità, cosa può essere detto e cosa no. Ma ai cittadini – ed è questo un privilegio prezioso che abbiamo in democrazia – è consentito opporsi, in coscienza, a una Legge ritenuta ingiusta, esattamente come nel caso di don Lorenzo Milani, diventando, a seconda dei casi e delle circostanze, martiri, eroi oppure semplici “dimenticati dalla storia”. Si possono cioè dire “parole contrarie”, essendo pronti ad accettarne le conseguenze: Don Milani infatti fu condannato, anche se il reato fu considerato estinto per la sua sopravvenuta morte. E non rivendicò la solidarietà di nessuno, come invece ha fatto De Luca a proposito degli intellettuali “francesi”, rifiutando persino di essere confuso, per evidenti motivi, con il mondo di “Rinascita”, cioè con coloro che in quel momento erano a processo insieme a lui, suoi stessi compagni di imputazione.
Sabotaggio” è una parola – come ha scritto De Luca – che appartiene “fin dalle sue origini” al movimento operaio (i sabots erano gli zoccoli che i tessitori francesi gettavano nei macchinari per danneggiare la produzione). Ma nella fretta del citazionismo, o nella tensione del momento, De Luca  ha confuso (deliberatamente o meno) i motivi per cui lui si trovava lì in quel momento. De Luca, infatti, non ha commesso alcun reale sabotaggio. Non ci sarebbe stata discussione, in questo caso. De Luca ha incitato altri con una “parola contraria“. Ma la “parola contraria” non appartiene al movimento operaio e semmai ha un afflato evangelico. Oppure filosofico-giacobino. Il movimento operaio è venuto dopo e infatti fin dall’inizio ha preferito l’azione alla parola, la “lotta di classe” ai “parolai borghesi”.
La giusta assoluzione di De Luca, dunque, dimostra che le Leggi – anche quelle del 1930 – e la loro interpretazione, possono seguire un percorso di progresso: “Poi le leggi dello Stato progredirono. Lasciatemi dire, con buona pace dei laicisti, che esse vennero man mano avvicinandosi alla legge di Dio. Così va diventando ogni giorno più facile per noi esser riconosciuti buoni cittadini. Ma è per coincidenza e non per sua natura che questo avviene. Non meravigliatevi dunque se ancora non possiamo obbedire tutte le leggi degli uomini. Miglioriamole ancora e un giorno le obbediremo tutte” (si legge appunto verso la fine della “Lettera ai giudici”).
Ma la permanenza della “parola contraria” rimane ugualmente un elemento di discussione: anche le “Sentinelle in piedi”, per esempio, esprimono una “parola contraria”, tanto più che l’aggravante dell’omofobia, ai loro occhi, si configura sicuramente come un tentativo di imporre un “reato di opinione”.
Anche proporre le ruspe per gli zingari è sostenere una sussistente parola contraria. Molte altre parole contrarie, per quanto ripugnanti esse siano o ci appaiano, potrebbero accampare i medesimi diritti all’esistenza e alla sussistenza di quelle di De Luca. A meno di non avere la pretesa – peraltro abbastanza comune, non solo a De Luca – di possedere l’unica verità e quindi l’autorità necessaria a esprimere parole contrarie a quella verità.
Altro che “trascurabilissimo caso”. De Luca si è difeso e con se stesso ha difeso la necessità della “parola contraria”.
Ha vinto. Anzi, come ha lui stesso dichiarato, non ha vinto, ma “è stata solo impedita un’ingiustizia”. L’unanime applauso di consenso lascia tuttavia intatte le conseguenze che questa vittoria porta con sé.
Forse sarebbe stato preferibile essere assolti “benché il fatto sussista”.