“Lo stato dell’unione”

3️⃣ domande: 
– perché Nick Hornby ha scritto questo libro?
– perché è stato pubblicato?
– perché io l’ho acquistato?
(credo che la risposta alle prime due, sia implicita nell’ultima).
Lo stato dell’unione” è il classico Nick Hornby a cui siano state tolte tutte le cose divertenti di Nick Hornby. Il risultato è un verbosissimo – nel vero senso del termine – e infinito dialogo tra Tom e Louise, dieci “quadri” in cui i due, coppia di quarantenni in crisi (l’avreste detto?) si ritrovano al pub prima della seduta dalla consulente matrimoniale (sì, lei ha tradito lui; lui è un critico musicale disoccupato… se vi sembra qualcosa di già sentito, beh, lo è: potete già immaginarvi il film, naturalmente con Colin Firth e Gwyneth Paltrow). La battuta più bella è relativa al fatto che la consulente matrimoniale si chiami Canyon. Più o meno da pagina 77 in avanti – vale a dire dalla metà di un libro pubblicato con interlinea doppio per giustificare i 16 euro del prezzo di copertina – il discorso scivola sul sesso: chi ha fatto sesso con chi, chi non l’ha fatto, chi l’ha fatto perché, chi l’ha fatto ma avrebbe voluto non farlo, chi non l’ha fatto ma avrebbe voluto farlo oppure farlo diversamente e così via. Visto che l’ambientazione è quella di un pub, ti auguri solo che i due si sbronzino e ti lascino in pace (cosa che, in effetti, non va troppo lontano dall’esito).
Considerazione 1: non è che se non hai niente da dire, anche se sei Nick Hornby, tu sia proprio-proprio obbligato a farci un libro, eh… E non è che un romanzo fatto solo di dialoghi sia un problema – “I vostri padri, dove sono? E i profeti, vivono forse per sempre?”, Dave Eggers, è un capolavoro – ma se “The New York Times Book Review” scrive “acuto, esilarante, una scrittura che sa emozionare”, non puoi non farti l’idea che la crisi di autorevolezza dei media sia legata a recensioni di questo tipo.
Considerazione 2: a un certo punto, nel libro salta fuori il tema della Brexit, solo per dire che Tom ha votato per il Leave e Louise per il Remain. Nient’altro. Deprimente. Sarà che, a seguito della Brexit uno è poi portato anche a rivedere certe cose rispetto alla idealizzazione della London tipo degli anni Novanta: quindi, sì, “Alta fedeltà” bellissimo, ma poi, pensiamoci, gli Oasis? E “Febbre a 90“? Stupendo, ma – diciamocelo – la Premier League ha anche rotto i coglioni, con il proprio strapotere economico. E “About a boy“? Grande, come batte le palpebre Hugh Grant non lo fa nessuno. L’esito poi è stato Boris Johnson.