molle(skine): diario morbido

Quattro libri + 1 che quando ricorderò il 2015 mi ricorderò di loro

Calano i lettori – magari non crederete, ma l’Istat dice che c’è gente che non ha letto nemmeno un libro in tutto l’anno, neanche per sbaglio! – chiudono le librerie, quelle che restano aperte se la passano un po’ così e insomma, l’Era Mondazzoli che Tremare il Mondo Fa è un po’ questa.
Eppure anche lo scorso anno sono stati pubblicati al solito oltre 60mila titoli (“al solito” tranne il mio, pazienza).
E tra questi 60mila titoli, anche a me – lettore medio, scarso, distratto, affannato e sempre di corsa – ne sono capitati tra le mani alcuni che vado ora a segnalare in mezzo alla nebbia come forma di sostegno e resistenza all’attività libraria correggese.
DSC_3595Dunque, “il più bel libro che mi sia capitato di leggere quest’anno” è stato “Il soggiorno”, di Andrew Krivak, (Keller). Esatto. Tanto per cominciare, fin dall’inizio il libro si preoccupa di informare sul fatto che sul far della sera del dell’Ottocento, in America (più precisamente in Colorado) esisteva una comunità di immigrati slovacchi. Slovacchi in Colorado. Il che sarebbe già di per sé interessante. Ma, ovviamente tale informazione non poteva rimanere scevra di conseguenze. E le conseguenze sono una splendida narrazione della Prima Guerra Mondiale, vista con gli occhi di Jozef, un tiratore scelto arruolato nell’esercito asburgico. Quindi la guerra in Italia. Ma vista dall’altra parte. Che rimane lo stesso inutile massacro di sempre, ma da una prospettiva diversa rispetto a quella cui siamo abituati. Ci sono poi tre o quattro punti dove bisogna tenere i nervi saldi per non commuoversi troppo. E nelle prime pagine accade qualcosa di terribile, che non svelo. Ma il modo in cui quella stessa cosa terribile è raccontata è magistrale. Indimenticabile. Nel senso che non lo dimenticherete. Davvero.
DSC_3598In realtà “Il soggiorno” sarebbe “il più bel libro che mi sia capitato di leggere quest’anno” se non fosse che poi mi sono imbattuto in “I pesci non hanno gambe”, di Jon Kalman Stefánsson (Iperborea, manco a dirlo). Ho sempre diffidato di questi autori nordici, se non altro perché hanno nomi e cognomi che mi ricordano sofferenze inaudite (di cui un giorno so che pagherò il conto) nelle trasferte nerazzurre di Coppa Uefa degli anni Ottanta. Comunque, le cose importanti da dire sono che: 1. nel libro si parla di Islanda, un posto del quale chiunque ci sia stato vi parlerà con occhi illuminati e l’espressione di compatimento riservata a “tu non sai cosa ti perdi” (a non esserci stato), mentre invece, grazie a Stefánsson vien fuori che poi in Islanda ci sono anche posti terribilmente brutti e il cui unico orizzonte è racchiuso tra i due turni di essiccazione del merluzzo; 2. la storia è una saga familiare e io adoro le saghe familiari; 3. ci sono dei font assurdi, che servono per trascrivere una toponomastica che è reale, ma che alle orecchie di uno che abita sotto la linea del Po suona come qualcosa che ha a che fare con Bilbo Baggins al massimo; 4. JKS potrebbe esser stato benissimo un centravanti del Turun o del Malmoe (leggi sopra), ma di sicuro è un grande scrittore, uno di quelli che non scrivono solo una storia, ma provano ad azzardare domande su senso della vita e sul percorso d’amore e d’inutilità/utilità che attende ognuno di noi frequentatori di questa terra.
DSC_3593Giacomo Di Girolamo è invece l’autore di “Dormono sulla collina” (il Saggiatore). “Dormono sulla collina” è una stupefacente Spoon River dei morti ammazzati in Italia tra il 1969 e il 2014. Il volume conta circa 1200 pagine, da cui si evidenzia su che cosa è stata fondata questa nostra Repubblica (e tenete in considerazione che alcuni morti sono ricordati in modo collettivo, tipo quelli delle stragi). Ma il capolavoro di Di Girolamo è stato non rendere questa raccolta una sorta di Grande Indignazione Permanente. Non è un libro a 5 Stelle o da V per Vendetta, in questo senso (cosa che lo avrebbe reso francamente fastidioso o comunque difficile da affrontare). Grazie alla sapienza nel racconto e all’uso calibrato del tocco poetico, che l’autore indubbiamente conosce e pratica, “Dormono sulla collina” è pervaso da un senso di “pietas” collettiva, per le vittime, per tutti noi, a volte anche per i carnefici stessi, che lo rende una testimonianza preziosa non solo di grande scrittura civile, ma soprattutto di una specie di “misericordia laica” di cui ci sarebbe estrema necessità.
Bene.
DSC_3592Infine, per rendermi inattaccabile da chi “sì, ma io leggo solo saggistica”, ecco “Come finisce il libro”, di Alessandro Gazoia (minimum fax). Perché ci sono libri che ti sembrano importanti – che abbiano cioè delle cose importanti da dirti – e te lo fanno capire fin dalle prime righe e questo è esattamente uno di quelli. A livello professionale è ricchissimo di stimoli. Ma non è (solo) questo il suo punto di forza. Non è un libro per addetti ai lavori, ma un saggio che ha a che vedere con i concetti di libertà e mercato alle prese con la digitalizzazione della trasmissione culturale. Sono temi fondamentali e imprescindibili per chiunque si approcci con coscienza all’attualità. E non è un libro che disegna un futuro apocalittico per il glorioso mondo delle lettere, ma non è neppure “tiepido” o “equidistante” perché ha invece il coraggio di esporsi, di prendere posizione, di essere anche “partigiano” (che sono poi le basi stesse della democrazia).

P.S.
DSC_3596Dimenticavo di dire che io ho letto “Stoner” di John Williams (Fazi) solo quest’anno. Ma molti di voi c’erano arrivati già prima, già l’anno scorso per esempio, a capire che Stoner è un capolavoro assoluto, di quelli che rimarranno incisi a chiare lettere nella storia della letteratura.