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Come sta andando?

Con l’anno nuovo – e a distanza di alcuni mesi dalla pubblicazione – sono sempre più frequenti le domande tipo “allora, come sta andando il romanzo nuovo?”. Che è una delle domande peggiori da ricevere, perché non si capisce mai bene – almeno: io non lo capisco – a cosa si riferisca quel “sta andando”: soldi? (bah…), riconoscimenti? (uhmmm…), fama? (aahahahah).

I segni sulle terra“, come già detto, per me rappresentano un’esperienza del tutto nuova. Niente di paragonabile ai “Pesci rossi”: i “Segni” è un romanzo più difficile, più spigoloso, per certi versi infinitamente più “mio”, rispetto al precedente, per molte e svariate ragioni.

E dunque? Come sta andando?
Dal mio punto di vista sta andando benissimo. Perché ogni percorso è una storia nuova e ogni storia nuova porta persone diverse. E tutte le persone che finora hanno incrociato il cammino dei “Segni” hanno dato vita a incontri per me bellissimi, che mi hanno arricchito molto, che mi hanno restituito mille volte il poco che ho provato a metterci io (potrei citare i nomi, uno a uno, ma farei sicuramente torto a qualcuno).
Così, la parola che descrive meglio la situazione è “gratitudine”: Luciano, Ninni, Salvatore, Leonardo, Roberto e tutti gli altri, in fondo, non son più roba mia. E mentre mi allontano, ogni giorno di più, da quell’isola che c’è dentro di me – soundtrack: “Leaving New York” – quello spazio preciso dove sono cresciuti, lasciandoli liberi di vivere la loro vita con tutto ciò che riserverà loro il futuro, li vedo in prospettiva, con affetto, parafrasando il verso per cui è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati.

Devo tantissimo, a Cogrosso.
Mi chiedo se ci ritornerò mai, un giorno.