I segni sulla terra molle(skine): diario morbido

Cose necessarie

L’8 luglio 2022 – esattamente un anno fa – “I segni sulla terra” finiva di essere una storia solo mia.

Tra le varie cose che mi è capitato di scrivere – “capitato” perché, in fin dei conti, poter scrivere (ogni tanto) la considero una fortuna – “I segni sulla terra” è certamente la più importante, quella su cui, a livello personale, ho investito moltissimo (se non “tutto”). Quella che mi è costata tanto. Quella più difficile. Forse quella cui ho voluto più bene. Ora, a un anno di distanza da quell’8 luglio, la guardo da qui ed evitando i discorsi su com’è andata o come non è andata, ancora adesso, posso dire che è anche quella che mi ha dato di più.

Secondo me – l’ho detto anche le volte in cui ho avuto l’opportunità di parlarne – una scrittura la si può giudicare più che altro dalla sua necessità, che è ciò che, personalmente, mi ha lasciato in pegno l’esperienza della pandemia. La pandemia c’entra perché, per quanto mi riguarda, è stato il momento preciso in cui ho capito che le parole non hanno alcun valore, se non sono necessarie. Le categorie del bello e del brutto sono altro e, troppo spesso, piegano a interessi particolari o a gusti personali. Ma quello della necessità, invece, è più oggettivo. Io ho scritto due libri di narrativa, uno sulla memoria e questo sul coraggio, che ho definito come “misericordia“: il primo è stato classificato come “una storia di zingari“, il secondo come “un libro triste” (così hanno scritto, in una delle poche recensioni). Mi sa che debba farmi delle domande, perché sono state interpretazioni completamente fuorvianti. Ma – e lo dico con molta umiltà – erano e sono storie necessarie.

Due libri in tredici anni sono pochissima roba. D’altra parte viviamo in un tempo dove siamo travolti dalla parola scritta-per-caso (così tanto che temiamo che una qualsiasi AI possa far saltare il banco). In linea generale, ho provato a tener fede alla promessa di scrivere-se-necessario, perché altrimenti diventa facile, diventa facile mettere giù una storia di traumi del passato, una saga famigliare di mille pagine, un’esperienza personale venduta come “generazionale” e altre cose simili, di cui parlano tutti. La “necessità”, per me, è “Smells like teen spirit” che esce nel 1992. La “necessità”, per me, è Michael Stipe che chiude i REM, dopo che ogni singolo pezzo dei REM ha centrato l’obiettivo di far parte della tua vita. Lì. Non prima. Non dopo. Senza nulla di più.

Secondo me ci voleva anche un po’ di coraggio, per fare questo libro. E Arkadia – che ringrazio ancora – quel coraggio lo ha avuto. Forse in Arkadia non lo sanno (suppongo, almeno, che sia così), ma è stato un clamoroso e inatteso successo. Perché? Perché mi ha permesso di conoscere persone bellissime – loro sanno a chi mi riferisco – che prima, invece, non conoscevo e di provare che ci sono certi legami – il primo tra tutti: Patrizio Zurru – che vanno al di là di tutto ciò che di solito si fa ruotare intorno all’editoria.

Per quanto mi riguarda, il 2022-2023 è stato un anno complicatissimo e bellissimo, sorprendente e mutevole e io mi sento un po’ come Acerbi che scende in campo a Istanbul, chiude gli occhi e fa lo stesso come poi andrà a finire.

Un’ultima cosa.

Alfredo, Alfredo, di questo core non puoi comprendere tutto l’amore“: per promuovere “I segni sulla terra”, fin dall’inizio, ho scelto “La Traviata“. Mi hanno chiesto perché.

Per questa frase.