molle(skine): diario morbido

Cinque libri per il 2016 (+ un’altra cosa) (+ un’altra cosa ancora)

FullSizeRender“Cinque libri per il 2016” è un titolo ambizioso. Dovrei aggiungere la solita precisazione “che ho letto io”, per onestà (che poi sono state letture tutto sommato limitate perché è stato un anno lungo e complicato da varie cose). Ma se ne scrivo qui è più che altro per evitare di dimenticarmi di questo anno bisesto, che in molti auspicano termini presto, ma che, invece, dovremmo tener caro, come si tiene in conto di tutto ciò che passa e che, comunque vada, non ritornerà (o non ritornerà più allo stesso modo). Letture comprese.

Jon Kallman Stefansson, Paradiso e Inferno (Iperborea)
Ho deciso di leggere un solo libro di Stefansson all’anno, anche se avrei voglia di accelerare (e a occhio e croce, ogni anno l’ex bibliotecario islandese sarà in cima a post simili a questo). Quest’anno è la volta di “Paradiso e inferno”, che è un racconto che inizia con due amici pronti per una battuta di pesca. Uno muore quasi subito, in modo anche abbastanza stupido. Ma dove uno muore per aver dato troppa importanza alle parole, l’altro sopravvive proprio per l’importanza delle parole stesse. Sembra una cosa da poco, solo che Stefansson è un autore talmente straordinario che credo che anche una sua lista della spesa acquisirebbe immediatamente indiscutibile spessore poetico.

Emmanuel Carrère, A Calais (Adelphi)
Sono 50 pagine. Magistrali. Dove Carrère parla di Calais – anzi della “jungle” di Calais, ad un certo punto dell’anno il più grande ed esteso e pericoloso campo profughi in terra europea – senza però nemmeno entrare nella “jungle” di Calais. Ma siccome Carrère è un grande scrittore, parlando/non parlando di Calais e della sua jungle in realtà parla di noi stessi alle prese con la paura di essere noi stessi allo specchio. Cinquanta pagine sono più o meno un romanzo di Erri De Luca. Ma questa non è una “furbata” di Adelphi per sfruttare un nome di punta: è una piccola opera, a suo modo, definitiva.

Zerocalcare, Kobane Calling (Bao)
Non è perché è Zerocalcare e allora fa ridere. Non è perché è Zerocalcare e fa ridere, sì, però questa volta no. E non è nemmeno perché l’argomento trattato ti prende come una stretta allo stomaco e non ti abbandona più, fino alla fine del libro. Non è per nessuna di queste ragioni, pur essendolo un po’ per tutte. Ma è soprattutto perché Zerocalcare ha scritto una grande storia. E poi l’ha anche disegnata. Ma prima di tutto l’ha scritta. “Che ne sappiamo noi dei curdi?” è una domanda che dopo “Kobane Calling” ha meno senso farsi. Parlano tutti bene di Zerocalcare (ma proprio “tutti” compresi quelli che non parlano mai bene di nessuno, tipo anche il Fatto Quotidiano): nasce del sospetto verso quelli di cui tutti parlano bene, ma questa volta gli elogi sono davvero meritati.

Fergus Fleming, A caccia di draghi (Castelvecchi)
Io per esempio non lo sapevo che sulle Alpi esistessero i draghi. Sono scomparsi quando l’uomo ha cominciato a conquistare le alte vette, in modi a volte buffi, altre ingegnosi, altri ancora temerari, ma sempre avventurosi. L’epica narrazione di questa scacciata dei draghi è appunto al centro del libro di Fleming (che è stato ripubblicato ora da Elliot, solo che io l’ho letto nell’edizione Castelvecchi e quindi mi attengo a quella). Unico neo: il libro parla, con umorismo e arguzia, della corsa alle vette delle Alpi occidentali (quelle francesi, savoiarde e svizzere) e per chi, come me, abita a cavallo dell’A22, le Alpi sono più quelle “altre”.

Roald Dahl, Il GGG (Salani)
Tra un po’ esce il film (l’ha fatto Spielberg). Quale migliore occasione, dunque, per prepararsi all’evento che leggere il GGG a Lorenzo, alla sera? Ma quanto ti accorgi che sei tu, adulto, ad attendere con ansia il momento di andare a letto, per andare avanti con la storia, per capire che fine faranno San Guinario e gli altri maledetti ciucciabudella, allora cogli una volta in più la grandezza e il potere di una storia e della capacità di saperla raccontare bene. Dahl era un maestro.

P.S.
Sì, lo so che quest’anno è uscito “Eccomi“, il romanzo nuovo di Jonathan Safran Foer. Sono a metà lettura. Si tratta di un libro tecnicamente perfetto. Però, JSF, però: la magia di “Ogni cosa è illuminata” non c’è. La perfezione non significa empatia, così come Jonathan Franzen non sarà mai Foster Wallace. “Ogni cosa è illuminata” era un libro necessario. “Eccomi” è perfetto. Ma, tutto sommato, potevamo farne a meno? La domanda vale il prezzo del dubbio ed è già una mezza sconfitta per chi ha amato Safran Foer sopra ogni altro autore.

P.S. 2
Anche quest’anno, naturalmente, sono state pubblicate tonnellate e tonnellate di carta straccia. Cioè, l’editoria italiana ha persino trovato le risorse per pubblicare un troglo come Matteo Salvini con il suo offensivo “Secondo Matteo“. Eppure, eppure che ne dite di “Cazzi miei“, imperdibile opera di Gianna Nannini edita da Mondadori? C’è ancora spazio e fondo per raschiare il barile prima della fine?